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Parlare di Sessantotto o anche solo farne riferimento non è facile, perchĂ© è come chiaccherare di un argomento o di un evento che tutti piĂ¹ o meno conoscono e di cui sanno per rifrazione, ma che fondamentalmente non è mai esistito; una visione, una vera e propria utopia, che muore nel momento in cui tenta di nascere come forma artistica. PoichĂ© le visioni e le utopie sono proprio quegli ingredienti catartici alla base dell’arte e del mistero della creazione, che si fanno forma allorquando cercano di sfuggire dalla sua definizione, quasi la formalizzazione di un pensiero che diventa logo fosse giĂ , per sua stessa definizione, intrinseca prigione. E l’arte è proprio come la libertĂ ; sconfinata, senza limiti morali, ove tutto è possibile, senza costrizioni ideologiche e significanti privi di significato; una camera delle curiositĂ , finchĂ© la sua definizione la trasforma nel nostro stesso carcere.
Il tentativo szeemaniano di approcciare il linguaggio artistico attraverso una nuova forma curatoriale che tentasse di riportare alla superficie – liberandola – l’esperienza concettuale ma anche l’impegno civile, politico e socialmente militante dell’artista e degli stessi curatori, fu sicuramente la via da percorrere in quegli anni. Egli tentĂ², infatti, di dare forma alle attitudini, transitando dall’esperienza visiva all’espressione dell’esperienza concettuale liberata da ogni paradigma accademico. E la sua visione fu proprio uno degli ultimi importanti tentativi, nel XX secolo, di coagulo di un pensiero entro una societĂ ancora fortemente propensa a un certo modello democratico attraverso le ideologie politiche o i manifesti artistici collettivi tipici delle avanguardie, alle varie forme di socialismo.
Ma cosa è evidentemente fallito per Szeemann, quand’egli stesso sentiva all’inizio del nuovo Millennio il bisogno ‘di cambiare tutto’, poichĂ© ‘tutto era da cambiare’? PerchĂ© l’esperienza e la visione pasoliniana, all’interno della rilevanza universale del suo messaggio, si ostina a rimanere una utopia per quei pochi visionari di allora come di oggi? Due esempi (tra i tanti) di grande coraggio quasi magico, di anticipatori ma allo stesso tempo vittime del dogma sociale e politico, e relegati alla propria unicitĂ individuale.
Da un lato, il quesito è sempre lo stesso; cioè come esprimere attraverso il proprio gesto (Gestaltung) la propria esperienza esistenziale (Erfahrung e anche Erlebnis, perchĂ© no?) in un tutt’uno che si chiama Arte Totale, una imperdibile quanto aderente simbiosi tra quello che sei, ciĂ² che fai e come vuoi apparire. Ecco che la forma, il corpo mai si slega dal motore spirituale o anche solo ideale.
Queste forme ribelli o di ribellione nascono verosimilmente, o sicuramente, da momenti di passaggio e metamorfosi epocali e durano nei secoli, poichĂ© vera espressione del bisogno dell’uomo di prevalere sulla morte attraverso la creazione di cellule quasi atemporali e pagane nel verso dell’edonismo, di nuovi ordini spirituali e sociali, o anarchici. Del resto questo è anche il senso che si dĂ alla Storia. Le varie e variegate forme di Camera delle CuriositĂ o di Wunderkammer concesse al e dal pensiero (artistico) – dallo studiolo di Francesco I de’ Medici, passando da Louis XIV ultimo vero monarca francese, fino al rapporto tra Wagner e Ludwig II di Baviera, nella cui figura di re illuminato si ravvisa la (in)consapevole fine di un’epoca ch’egli stesso aveva contribuito a decretare come ultima metastasi di una ‘fin de race’ – hanno sempre marcato il grido dell’uomo per la sua sopravvivenza nei momenti storici contraddistinti da crisi temporali e morali di transito e metamorfosi della societĂ .
…poi la visione di Henri Dunant e della sua Croce Rossa, il Monte Verità , che riusciva a coagulare tra le Isole di Brissago, o Saint Léger, e Ascona il traghetto che ci portava gentilmente dal tardo Ottocento scapigliato, o dei fuoriusciti come i russi Troubetzkoy sulla sponda italiana del Verbano, al nuovo visionario che arrivava da un’Europa in guerra e in menopausa esistenziale.
Un nuovo che depennava il denaro per il valore, consapevole della superioritĂ dello spirito e della visione sulle vanitĂ del possesso e della gestione delle risorse umane.
Questi luoghi reali, visionari e spirituali s’intridono di energia, laddove il genio del luogo prevale su qualsiasi umanità con tutti i suoi limiti temporali. Ecco cos’è forse il Sessantotto; un luogo della mente e dello spirito visionario come pochi altri, laddove l’essere prevale sull’avere e la pienezza dell’esistenza prevale sulla divinazione.
Ecco dove nasce forse la censura e la negazione dell’arte come etichetta della degenerazione umana, ecco dove nasce spesso l’istigazione verso il reale come antitesi totale corrotta all’arte: forse proprio dall’istituzione, dal dogma, dalla forma, che vogliamo a tutti i costi attribuire erroneamente a ogni struttura del pensiero, a questo luogo della mente atemporale, apolide, amorale e infinita.
Cosa hanno sbagliato Szeemann o Pasolini o tutti gli altri? Nulla! Essi hanno dato per acquisire visioni, che molti interpreti della Storia hanno venduto in cambio di denaro e di favori politici. La virtualizzazione ha fatto il resto.
I grandi visionari esistono ancora, oggigiorno spesso nascosti, e ciĂ² che un tempo era il vanto di una societĂ davvero illuminata – per usare un aggettivo mistificatorio che non amo per niente –, oggi costituisce uno dei tanti mali oscuri. In qualche modo la Storia si ripete.
Mario Casanova
Svizzera, 2016

