La mela incantata. Testo critico di Carole Haensler, direttrice del Museo Villa dei Cedri, Bellinzona.

La mela incantata: (ri)pensare la memoria collettiva del XX secolo.

Il periodo qui preso in esame si caratterizza per il grande fermento creativo, non solo nel campo delle arti, ma soprattutto nella società in generale, di cui le arti appaiono il riflesso, a volte critico. Si rimescolano le carte, si riscrivono le norme prestabilite. La rivoluzione industriale, l’urbanizzazione, l’evoluzione tecnologica e l’avvento dell’economia capitalista hanno radicalmente mutato le modalità del vivere insieme, che vanno ripensate. Entrano poi in gioco le ideologie: anarchismo, socialismo, nazionalismo ecc. Il mondo è in fase di secolarizzazione e democratizzazione, e quasi tutti gli strati sociali sono integrati nell’organizzazione dello Stato. Benché i regimi politici dell’inizio del XX secolo siano ancora per lo più monarchici e imperiali (per esempio, per quanto riguarda i Paesi vicini, Inghilterra, Germania, Italia e impero austro-ungarico) e in Francia la III Repubblica avvantaggi ancora principalmente una classe privilegiata, il progresso sociale avanza. Non a caso, per ripristinare in Europa una forma di stabilità occorreranno due guerre mondiali.

Con la rivoluzione industriale si ridefinisce il nostro approccio con la natura, è la nascita del post-naturalismo – termine che indica già il senso di questo rapporto. Il modo di concepire la società e la posizione dello Stato e dell’individuo cambiano radicalmente. Poiché la vita si concentra sempre più nelle città, i rapporti di classe e la relazione con il corpo e con i corpi sono reinventati. Anche nelle arti le distinzioni tra i generi perdono di significato, le pratiche si mescolano e si confondono. Pensiamo certamente al Bauhaus di Dessau o al gruppo “Die Brücke” di Berlino, alla comunità di Amden nel cantone di San Gallo o quella del Monte Verità ad Ascona, alla Belle Époque – come sarà definito a posteriori in Francia il periodo tra il 1871 e il 1914 –, tutti con l’ambizione di unire le arti e la vita, ognuno con il proprio linguaggio. Si instaura un nuovo dialogo tra pittura, stampa, arti decorative, architettura e scultura. È l’epoca dell’astrazione: astrazione dalla natura, astrazione dalle norme e dalle tradizioni, astrazione dalla società. Le forme assumono un significato diverso dal mimetismo e dalle apparenze. Il dibattito tra sensualità e razionalità – cristallizzatosi nel XVII secolo intorno al colore e al disegno tra rubensiani e poussinisti, poi nel XIX secolo intorno a Eugène Delacroix e Jean-Auguste-Dominique Ingres – torna alla ribalta in una forma diversa, quella di una rivoluzione, un superamento del naturalismo e del mantenimento dell’eredità dei maestri classici antichi, dal Rinascimento al XVII secolo. Infine, il pessimismo espressionista sembra prevalere sulla grazia e sulle curve, come risposta allo spirito del tempo che sfocerà nella Prima guerra mondiale. La mostra La mela incantata tenta, a suo modo, di sfidare questa conclusione, considerando questo periodo da un diverso punto di vista, quello dei dimenticati della memoria collettiva riconfigurata nel dopoguerra.

Una delle caratteristiche del processo di civilizzazione[1] delle società umane è l’integrazione degli individui in unità sempre più grandi, ed è così fin dai cacciatori-raccoglitori del Paleolitico. All’inizio del XX secolo, assistiamo a una nuova distribuzione delle unità che compongono la società moderna diventata globale e a rapporti di forza determinati non solo dalle realtà economiche, ma anche da quelle demografiche[2]. Tuttavia, l’assimilazione nelle nuove unità, spesso più ampie, come avviene, per esempio, con la creazione degli Stati moderni a partire dai territori prima definiti dai regimi monarchici – la Germania riunisce i Länder intorno alla Prussia, l’Italia le province e i regni della penisola come la Svizzera con i suoi cantoni o gli Stati Uniti d’America – “rimette in discussione la trasmissione della memoria collettiva o, con la nuova identità del gruppo, questa perde il suo significato e, di conseguenza, allo stesso tempo l’immagine di noi stessi”[3]. La Storia sembra aver operato la sua selezione, ma questa mostra solleva un interrogativo chiedendosi se possiamo riscriverla, se gli artisti presentati sono davvero dei dimenticati della memoria collettiva riprogrammata a metà del XX secolo o se dalla loro reintegrazione nella Storia non possa provenire una migliore consapevolezza della grande diversità culturale da cui è composta l’Europa, e di conseguenza una migliore comprensione della ricchezza e del contributo critico costruttivo delle differenze che stanno alla base della nostra identità collettiva. L’arte ha sempre avuto un ruolo attivo nella storia politica; utilizzata dai poteri costituiti, ha anche assunto sistematicamente il ruolo di giullare o buffone di corte del mondo medievale, ossia quello dell’unico soggetto che, con strumenti alternativi – per il giullare il riso e la derisione – può puntare il dito sugli eccessi del potere. Questa esposizione, dunque, pone un quesito: quale può essere il ruolo attivo dell’arte nel processo di civilizzazione oggi in corso?

Carole Haensler, agosto 2023.
Tradotto dal francese da Rossella Savio

 

[1] Si veda Norbert Elias, Über den Prozess von Zivilisation, pubblicato per la prima volta a Basilea: Verlag Haus zum Falken, Basel 1939.

[2] Tra il 1891 e il 1911, la popolazione francese cresce in media di 63.000 abitanti all’anno, ovvero il tasso più basso in Europa, mentre il resto del continente conosce un vero sviluppo demografico, come accade per esempio in Germania, dove l’incremento si attesta ogni anno su circa 500.000 individui.

[3] Norbert Elias, Die Gesellschaft der Individuen, Suhrkamp Verlag, Frankfurt/Main 1987 (ed. italiana La società degli individui, Il Mulino, Bologna 1990).

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