Il corpo del reato. La reclusione.
King’s (Daniele Innamorato, Federica Perazzoli) / Mark Raidpere / Stefano Scheda / Valter Luca Signorile / Artur Zmijewski
11 novembre 2007 – 27 gennaio 2008
Dopo la pubblicazione titolata “La Famiglia. The Leaving Room” per le edizioni Neos.e, la quale affronta eterogeneamente i temi legati al corpo, alle tecnologie e all’identità dello spazio espositivo in parallelo con l’evoluzione dei linguaggi artistici, il CACT presenta ora IL CORPO DEL REATO. LA RECLUSIONE; prima tappa di un ciclo di esposizioni tematiche che il Centro intende estendere nel corso del 2008, affiancando testi critici. Il corpo è da sempre uno degli argomenti importanti attorno all’uomo, di cui la produzione artistica degli ultimi 40 anni si è occupata, tentando di identificarne il significato in epoca post-industriale, dei consumi e tecnologica. In che misura l’estetizzazione provocata e imposta dai mezzi comunicazionisti attraverso la macchina ha modificato, per mezzo del corpo, la nostra idea di identità, il senso del genere? Causando fenomeni come l’aggressività e/o l’automortificazione? Sono ancora attuali i temi descritti da Lea Vergine, suggellati con il termine Body Art, e cioè l’uscita dal corpo attraverso un soggettivo, analitico e quanto regressivo ritorno alle origini per una ricostruzione del Sé attraverso il performativo e atti ritualistici di ispirazione quasi tribale?
Nell’opera THE GAME OF TAG (1999), Artur Zmijewski (Polonia_1966) – padiglione polacco alla 51. Biennale di Venezia, 2005 e Documenta 12, Kassel 2007 – riaffronta il concetto di storia e di consapevolezza storica: un video girato in due stanze, di cui una è una vecchia camera a gas del periodo nazista. È attorno a un ironico parallelo tra gioco di corpi nudi come simbolico e psicoterapeutico ritorno (il gioco) ai traumi e alla loro oggettivazione, e la cruda realtà del luogo (corpo nudo e camera a gas), che si snoda l’opera. L’artista polacco induce alla riflessione consapevole della mortificazione del corpo e della dignità umana reclusa, così come allo sconvolgimento subito dallo spirito. Ancora più amaro sembra essere, invece, l’accostamento tra lo sterminio sistematico di vite umane e il concetto di gioco, come analitica scomposizione e ricomposizione.
La trilogia video JERUSALEM #1, #2, #3 (2007) di Valter Luca Signorile (Italia_1965) affronta il tema del “corpo come linguaggio” e del ritualismo dell’uomo recluso rivolto all’universo dello spirito liberato. Realizzate in maniera antiestetica per mezzo di un telefono cellulare, le opere sono tre azioni senza pubblico, in cui l’autore-attore mette in scena se stesso, mentre compie ripetuti gesti fisici simbolici di invocazione, di imprecazione e, fondamentalmente, di psicodipendenza. Signorile concepisce il luogo del tournage come stanza transfisica e altrettanto metafisici e solitudinali sono i suoi gesti, i pugni che egli si batte sul petto o le mani che s’innalzano verso il Cielo. La sua personale mise en abîme sta nella ripetizione del gesto invocatorio, nell’ossessiva ripetitività come clonazione e assunzione delle tragedie del mondo: un crescendo quasi ipnotico per uscire da una condizione di imprigionamento, una sorta di antidoto contro la consapevolezza della Morte, una probabile ingiustizia divina e il concetto di responsabilità umana. Similmente EXTREME OATH (2007) è la presa video della parte inferiore del corpo, i piedi, che si intingono in un bacinella contenente del liquido rossastro a richiamare il sangue come elemento di vita e di passione. I piedi rientrano in questo utero simbolico e si spalmano via via di liquido, quasi a voler percorre a ritroso o rivivere la nascita dalla madre.
La sublimazione della patologia involontaria, a fronte di una perfezione oltre, costituisce l’insieme dei temi sviluppati da Artur Zmijewski (Polonia_1966) nella sua opera video, a carattere documentario, THE SINGING LESSON 1 (2001). Un coro di giovani uomini e donne sordo-muti si esercitano per l’esecuzione – sotto la guida di un direttore e di un organista – del Kyrie, tratto dalla Messa Polacca scritta nel 1944 dal compositore Jan Maklakiewicz. L’evidente impossibilità di realizzare il canto, a causa della infermità dei coristi, nonché i diversi parametri per una espressione dello spirito attraverso il corpo, convincono lo spettatore verso una analisi comparativa e maggiormente consapevole attorno all’accettazione della Diversità. La predisposizione al sublime e l’impostazione poetica dell’autore, fanno di questo video quasi una metafisica dell’Alterità.
10 MEN (2003) è l’opera filmica di Mark Raidpere (Estonia_1975) – padiglione dell’Estonia alla 51. Biennale di Venezia, 2005 –, il cui contenuto – come per tutti i suoi lavori – è a carattere sociale e contestuale. Realizzato su di un set fotografico completamente antisettico, l’artista di Tallin “intervista” 10 detenuti della prigione di Tartu (Estonia), ritraendoli uno dopo l’altro a mezzo busto, per sequenze, in diverse pose e silenti. Solo il sonoro di una canzone strumentale fa loro da sfondo, altrimenti il ritratto maschile. Sono condannati a lungo termine, reclusi per molto tempo dalla vita sociale, privati da una normale dignità professionale e individuale, imprigionati in un luogo che preclude loro altre possibilità di identificazione con la società che li circonda. Solo il mezzo tecnologico, il video, la dematerializzazione provocata dalla macchina e dalla mano di Raidpere, restituisce loro la libertà di posare, mostrarsi, ridere o vantarsi, innescando nello spettatore un alterato e corrotto meccanismo di lettura della realtà.
Questa analisi attorno alla falsificazione prodotta dalla tecnologia, come “specchio taroccato”, viene recuperato anche nei lavori filmici recenti dall’artista Stefano Scheda (Italia_1957). Lo scenario di FUORIDENTRO #2 (2006) è la presenza di un muro eretto in primo piano realizzato con gabbie contenenti uccelli, dietro il quale, dal mare, escono uomini e donne che si dirigono, nudi, verso questa inferriata, verso di noi spettatori. Ci guardano da oltre questo reticolato che si accorpa metaforicamente alla parete dello spazio espositivo, quasi fossero imprigionati dentro e oltre la proiezione, e cercassero di varcare quella soglia tra il fisico e l’astratto, tra il reale e l’immaginario. Il video CARTOLINE (2004) ribadisce il concetto di specchio, come superficie riflettente non già la nostra immagine, quanto la rappresentazione di noi stessi.
Il duo artistico King’s (Daniele Innamorato/Federica Perazzoli) (Italia_1969 e 1966) propone una inedita installazione titolata MUSIC NON STOP (2007). La musica come strumento o pretesto visivo. L’opera è composta da pareti interamente ricoperte di disegni eseguiti su carta da lucido, da una scritta al neon collocata a muro e da un video proiettato in monitor posato sul pavimento. Essa – caratterizzata da una ben definita militanza linguistica – riaffronta l’universo delle rock/pop star dagli anni ’70, che attraverso modalità espressive visivo/corporali, travestitismo e make up, sono giunti a dare corpo alla denuncia dei disagi politico/sociali o dell’identità sessuale, attraverso forme più estreme di autolesionismo e di trasgressione.
Mario Casanova, 2007
Ph MACT/CACT.
Dove
MACT/CACT
Arte Contemporanea Ticino
Via Tamaro 3, Bellinzona.
Orari
Venerdì, sabato, domenica
14:00 – 18:00