Simbolismo, mitologia e grottesco.

Simbolismo, mitologia e grottesco.

Csaba Kis Róka

13 aprile – 9 giugno 2013

È da considerare Epoca postmoderna quel tempo, laddove gli artisti ritrovano nella Grandezza del passato spunti di riflessione e rivisitazione; così come questo termine non esisterebbe senza quello di Modernità. Come dire Tesi e Antitesi, una perversione in termini entro un rapporto di equilibrio che trova la sua conclamazione proprio nell’instabilità del XXI secolo e nella banalità del secondo Novecento. La Modernità è relativamente recente e costituisce una pura invenzione borghese, scaturita dalle rivoluzioni sociali di fine Settecento, che vorrebbe vedere nella centralità dell’uomo quella progressiva irreversibilità, quel sogno che ha ingravidato gran parte del secolo scorso. È il tempo delle discariche.
In quella che è ormai per tutti definita una ‘cultura dell’ignoranza’, laddove il concetto di mercato non sembra più corrispondere alla qualità, ma la supera (la società odierna inequivocabilmente post-contemporanea e drogata dall’utopia finanziaria e dall’universalità sociale), l‘idea dell’avanguardia e degli stilemi socio/politici si è viepiù polverizzata. Molte, troppe opere d’arte contemporanea sono diventate una vera e propria presa in giro, anche per un pubblico più o meno avvezzo all’arte, laddove il mercato aveva dato origine ad una nuova estetica dell’arte e del fare arte.

Ecco che il ‘saper fare’ insito nell’uomo ridiventa una necessaria connotazione del ‘fare artistico’.

Cosa è realmente cambiato oggi rispetto alla ‘Grandeur’ delle avanguardie d’inizio Novecento? Tutto e niente …in rapporto alla grande Storia, che si ripete, identificando e distinguendo, come sempre, i grandi, da una parte, e gli impotenti, dall’altra.
L’avanguardia ha ridato voce e responsabilità politica e civile a finanche troppi artisti. L’ideologia diventa regime, la cultura di stato e l’istituzione toglie quella stessa voce alla ‘persona’. La famigerata massa rivendica altri profili e ulteriori deleteri livellamenti, seppure nel senso di una liberazione verso nuovi classismi sociali e professionali.

CSABA KIS RÓKA (Budapest, 1981) nasce nella periferia ungherese, nell’epoca, in cui il baccanale dell’Occidente si contrapponeva duramente allo sgretolamento dell’illusione bolscevico/sovietica; primo segnale del fallimento di un’utopia novecentesca, che avviene quando l’artista è bambino nell’età della coscienza. Ci vorranno altri vent’anni prima che il suo paese, e con sé tutta la sua identità culturale, rientrino a far parte a pieno titolo di un sistema europeo per assistere, di lì a poco, ad un’altra grande caduta; quella, nel 2008, del modello borghese capitalista di matrice finanziaria, per ritrovarsi nel pieno di un bieco neonazionalismo.
Questi pochi primi dati a carattere prettamente storico disegnano i contorni di una personalità artistica fuori dalle mode, dalle coerenze e dalle avanguardie in generale, ma fortemente legata alla rappresentazione del suo pensiero e del suo sentire. E la Pittura: un’ossessione quasi dionisiaca del recupero attraverso la perdita nel suo farsi; la passione e l’espressione esistenziale sembrano piacevolmente prioritari per Kis Róka.
Pittore magnifico, egli combina e fonde i linguaggi della tradizione pittorica, tutta, pur affrontando di petto il suo rizoma culturale e sociale, e il tema della disastrosa utopia sovietica come cancellazione della personalità e del soffocamento di qualsiasi apertura culturale alla coscienza storica e umana. Kis Róka dipinge le tragedie storiche del suo est-europeo attraverso una sottile analisi di ciò che rimane nelle coscienze sociali, solitarie nel loro doversi ricostruire da un senso quasi genetico dell’inesorabilità.
Se le figure ricordano i tipici tratti magiari, se il fallo rappresenta il potere, non già la potenza, la sodomia riflette la puntuale arroganza del potere nel sopruso e nel soffocamento. Il giallo goyesco del cielo è la guerra e la distruzione cieca, e la perversione sessuale l’incapacità di ritrovare e accettare le identità.
Goya, Tiziano sono i miti. Le mitologie sono per Kis Róka gli archetipi del suo essere intimo e profondo, le sue radici da cui nessuno, nemmeno l’artista, non può sfuggire; alle radici vanno gli estremi pensieri, quando l’inesorabile arriva sicuro e certo.
Quel riso amaro che è un pianto di piacere, l’accettazione della sofferenza lambiscono alcuni aspetti della cultura nordica teutonica e dell’est-europeo, laddove la dimensione grottesca costituisce fondamentalmente l’amara e sarcastica capacità di ridere di noi stessi.

Il Cahier d’Art #3 sarà interamente dedicato all’opera di Csaba Kis Róka con un testo critico di Márió Nemes.

Mario Casanova, 2013

Ph. Pier Giorgio De Pinto © PRO LITTERIS Zürich.

Dove

MACT/CACT

Museo e Centro d’Arte Contemporanea Ticino

Via Tamaro 3, Bellinzona.

Orari

Venerdì, sabato, domenica

14:00 – 18:00

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