Silvano Repetto

Silvano Repetto

Mostra personale di video

A cura di Mario Casanova e Kuychiro Kono

5 – 27 ottobre 2001

La coscienza storica nell’opera video di Silvano Repetto

Il tracciato operativo di S.R. inizia con gli studi artistici a Firenze, madre della pittura rinascimentale e culla dell’epoca moderna, dove l’arte – attraverso la pittura e i suoi aspetti narrativi – registra le tracce dell’inesorabile passaggio delle genti e lascia un’impronta incancellabile dell’umano errare. Ma il segno che S.R. materializza nella sua opera non è esclusivamente pittorico e statico, legato inequivocabilmente al gesto. Il suo segno va oltre grazie ad un mezzo di produzione contemporaneo quale il video. Con la telecamera S.R. intende essere testimone della stratificazione dei secoli e della sintesi continua, perpetua ma mutevole tra spazio e tempo. È il caso di affermare che il video non sarebbe potuto esistere per l’artista senza la formazione pittorica italiana, che lo ha in qualche modo generato come videasta; non per normale consequenzialità storica o semplicemente stilistica, ma per esigenza di continuità espressiva.

Il segno per un creatore è importante, al di là dello stile e del mezzo di produzione, di cui egli intende servirsi. S.R. deve e dovrà sempre registrare il segno del continuo nomadismo degli esseri umani, delle etnie, delle razze; il cinetismo perpetuo, senza attrito alcuno, della vita: il suo segno, la sua opera è il risultato (se non una forma d’apoteosi) del moto continuo tra passato, presente e futuro.

La sua produzione video inizia attorno al 1994, con lavori che riflettono maggiormente e in maniera marcatamente narrativa le tematiche da lui scelte. Tuttavia, è solo attorno al 1997 che meglio si realizza la sua opera matura.

L’installazione del 1997 titolata IL SOFFIO, opera video presentata al Kunsthaus Zürich e presso la Kunsthalle Schirn di Francoforte nella mostra tematica FREIE SICHT AUFS MITTELMEER per la cura di Bice Curiger, è un’opera importante e matura di S.R. Un primo piano dell’artista che percorre velocemente la circonferenza di un cerchio, in cui il sonoro si risolve con l’amplificazione del suo proprio respiro. Lavoro minimale che vuole significare il continuo vagabondare dell’essere umano in forma circolare, l’ostinato susseguirsi delle gesta e della bipolarità nel tempo. L’elemento audio è apparentemente statico. Il “rumore” prodotto dal suo alito vicino al microfono e in seguito insistentemente amplificato diviene in tale contesto quasi una preghiera totalizzante, al di fuori della nostra portata culturale e spirituale, un moderno canto dell’Om. Parallelamente, nell’uso della telecamera, l’autore raccoglie, ordina, colleziona in modo narrativo o simbolico pezzi di storia umana, li ingrandisce, li taglia, li riduce a icona e ne ferma così i segni: testimonianza eterna del passaggio dell’uomo sulla terra e volontà di dare volto e caratteristiche all’identità.

Successivamente, nel 1999, S.R. produce due opere ispirate dai suoi viaggi in Giappone e realizzate proprio nel paese che ospita ora la sua prima mostra giapponese: PRESENZE TRASPARENTI e TORII.

Inglobando nei lavori successivi la fotografia, quale mezzo mediale supplementare, ma necessario, con l’installazione video-fotografica dal titolo ORIZZONTE VIDEO (2000) l’artista svizzero raggiunge di nuovo un’eccelsa maturità per l’uso dei mezzi e dei linguaggi. Essa è un’opera documentaria di una precedente performance che l’artista ha realizzato nel mese di febbraio del 2000 presso il Castello di Mesocco (Canton Grigioni), luogo di testimonianze e di vicissitudini storiche e sociali.

La formalizzazione della performance in installazione per uno spazio espositivo consiste nel illustrare concettualmente, ma anche in maniera documentaria i momenti chiave della performance. Si può quindi affermare che esiste un processo di realizzazione dell’opera (performance) seguito da un secondo, più possibilista, di documentazione di essa. Una rinnovata stratificazione spazio-temporale, che gioca sottilmente con l’identità passata, presente e futura, dando origine a tre dimensioni che finiscono per sovrapporsi delicatamente. La fotografia a colori (180 x 285 cm), in cui si vede l’autore-protagonista che tiene nella mano un piccolo monitor ad indicare un intervento elettronico nel paesaggio naturale, rappresenta la sintesi e l’origine della perfomance ed è accompagnata da 4 monitor con altrettanti filmati della durata di 6’00’’, che illustrano i quattro momenti dell’azione: luogo, posizione, performance, orizzonte.

L’azione stessa consisteva nell’introdurre nella prospettiva dell’orizzonte della montagna, che sovrasta il Castello, un monitor di piccolo formato posato sulle sue mura, entro il quale il filmato era l’esatto tassello mancante dell’orizzonte naturale che lo spettatore vedeva da tale punto. La radicalità di questo segno, che mirava a ricollegare in una sorta di trompe-l’oeil la linea dei due orizzonti spezzati del colle, è il risultato di un tollerante collegamento virtuale di due prospettive naturali. La traccia, il segno di un passaggio lasciato dall’artista e dalle genti è il principale filo conduttore di questa opera-azione di S.R., che porta a riflettere su tre componenti dell’esistenza indipendenti dalla volontà individuale: tempo, luogo e appartenenza sociale.

ORIZZONTE VIDEO è quindi nuovamente un’intima ricerca tra passato e presente, dove la componente futuribile è lo spettatore che ne diviene legante interattivo con l’oggi. La traccia che S.R. lascerà ai posteri è dunque un documento culturale ed elettronico, sviluppo del mondo naturale in un luogo storico – il Castello di Mesocco appunto -, testimone e protettore delle metamorfosi dei tempi ad opera dell’uomo.

La coscienza storica attraverso le stratificazioni temporali e geografiche – la continua ricerca quindi di un’identità individuale che si ricongiunga e coincida infine con quella collettiva – sono prerogative essenziali dell’umanità e non solo del lavoro e della riflessione di S.R., fino ad arrivare alla traccia ultima, a ciò che rimane di una transumanza umana; non solo come corpo morto della memoria e/o della nostalgia, bensì quale elemento futuribile.

Vedere o solo immaginare; l’incontro tra realtà, immaginazione e ricordo crea una situazione enigmatica, la quale è essa stessa traccia del passaggio di noi uomini.

Partendo da un’ipotesi di transito di persone in un luogo, la performance non fa altro che ripercorrere un’azione già avvenuta, ma nello stesso tempo che avviene e che contemporaneamente avverrà.

Passato, Presente e Futuro s’intersecano in un unico punto; resta quindi solo un ricordo elettronico, documento universale di un momento della storia all’interno del tempo.” (Silvano Repetto)

Alla memoria dell’uomo e attorno ad esso, l’artista S.R. attinge materia vitale per la sua opera futuribile: e da questa sintesi tra passato e futuro egli stesso, persona viva, diviene traccia e indispensabile anello di congiunzione.

Mario Casanova, maggio 2001

 

 

Silvano Repetto

Il video è immagine in movimento. Tagli rapidi, contrasti stridenti, mutamento continuo. Il video mette costantemente alla prova i limiti e la resistenza della nostra facoltà percettiva. È questa la tendenza che determina in modo particolare l’estetica degli anni novanta. Accanto ad essa continua a sussistere una tradizione più vecchia. Sin dagli inizi degli anni sessanta, infatti, il video ha esplorato – in una voluta contrapposizione al film – la dilatazione del tempo e la persistenza dell’immagine. L’arte del video rifiuta le convenzioni del cinema narrativo classico: il ‘continuity-style’, già sviluppato nel periodo del film muto, il principio dei tagli invisibili, così come la narrazione lineare, psicologicamente motivata.

Il lavoro di Silvano Repetto porta avanti quella tradizione. La sua opera è contraddistinta da sottili dislocazioni di orizzonti temporali che sfidano ogni limitazione. L’effimero fissato nell’immagine, la presenza dell’elemento storico, le tracce di momenti unici, il sopravvivere nella rappresentazione di cose ormai passate, ecco i temi di Repetto. A prima vista sembra contraddittoria, ma forse nasconde un senso più profondo, tale volontà di trasmettere tramite l’immagine video – una configurazione di elettroni in movimento irrefrenabile che, nel momento stesso in cui viene percepita, si è già dileguata – un concetto di costanza e di durata. La fugacità dell’immagine corrisponde alla fugacità del soggetto rappresentato. Panta rhei; e ciò che rimane, o sembra rimanere, è a sua volta riproposto solo in immagini fuggevoli.

Tobia Bezzola, 2001. Traduzione di Raffaella Ferrari.

Ph MACT/CACT.

Dove

5610 Gallery, Tokyo.

Quando 

5 – 27 ottobre 2001

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