Hshuma

Hshuma

Assaf Abutbul / R'm Aharoni / Dan Allon / Eyal Assulin / Maya Attoun / David Benarroch / Esther Cohen / Gil Desiano Bitton / Joseph Yossef Dadoune / Mati Elmaliach / Avshalom Levi / Michael Liani / Vered Nissim / Dafna Shalom / Nir Shitrit / Daniel Shoshan & Amit Matalon / Tal Shoshan / Koby Sibony / Merav Sudaey

A cura di Sharon Toval

1 settembre – 8 dicembre 2019

L’esposizione cerca di esaminare in che modo l’arte contemporanea israeliana possa esprimere il concetto d’identità dietro la nozione di “hshuma” (vergogna sociale). La ricerca per definire questa mostra è iniziata con la percezione e l’analisi del concetto d’identità attraverso l’assunzione del sé negativo, del proibito e di tutti i comportamenti considerati inaccettabili, e riconducibili al termine “vergogna”.

La vergogna, su di un piano socio-politico, rimette in discussione tutta la definizione dell’identità israeliana, fondamentalmente originata da un’esperienza storica profondamente ashkenazita. Infatti, HSHUMA non è solo un’altra prospettiva sull’arte contemporanea israeliana, ma si compenetra con la realtà storica e politica di questo paese del Medio Oriente dai tratti fortemente europei.

Tutti gli artisti partecipanti a questa esposizione condividono, tuttavia, un legame con la cultura nord-africana; chi assumendo un’aperta e radicale posizione, chi abbordando i temi in maniera nascosta in rapporto alla cultura israeliana mainstream. La parola di origine marocchina “hshuma” – indicativamente tradotta con “vergogna” – è percepita nel suo significato occidentale quale sentimento interiorizzato di negatività o paura del manifestarsi. Essa esiste in relazione agli altri, profondamente incisa a livello personale, sociale, familiare o professionale. La vergogna si esprime conseguentemente allo statuto sociale, e definisce comportamenti di frontiera, eccezionali, ed extra-ordinari dell’individuo versus la società, nell’interazione tra spazio privato e spazio pubblico, negli ambiti della sessualità, delle norme e dei valori centristi della cultura dominante che li gestisce.

Tutti gli artisti sono di origine magrebina e il processo curatoriale ne mette in luce le problematiche, che gli artisti stessi hanno riassunto durante discussioni, riflessioni e dentro la loro pratica artistica. Molti hanno avuto il coraggio di affrontare i temi davvero “vergognosi” e i punti di contatto con gli aspetti ibridati del loro essere attraverso il dialogo. Altri, invece, hanno realizzato una messa in scena del loro intero linguaggio estetico, celando le loro manipolate e vergognose problematiche, quali quelle di genere, identità sessuale o altro; taluni, abbordando i temi in maniera più diretta. Altri autori hanno deciso di attenersi rigorosamente al tema, riferendosi alla storia dell’arte.

In contrasto con precedenti esposizioni tenutesi in Israele, le quali tentavano di superare questo soggetto, HSHUMA non si colloca in opposizione al Sionismo Europeo Ashkenazita, bensì rappresenta un nuovo passo in avanti, inteso a definire le caratteristiche estetiche del concetto de “il nuovo Mizrahi”, termine riferito a quegli ebrei provenienti dall’Oriente (sefarditi), inequivocabilmente vivaci e attivi, e già dimentichi della narrativa sionista, avendo ben presente una prospettiva creativa e creatrice, piuttosto che esclusivamente critica.

In un certo senso, l’espressione “il nuovo Mizrahi” ci riporta al concetto primario di tribù ebraica.

L’esposizione HSHUMA solleva molte domande e quesiti attorno all’importanza del concetto di vergogna all’interno della scena artistica israeliana contemporanea. Sarebbe riuscito il Sionismo nel suo intento di creare un melting pot e uniformare la cultura sionista? Oppure è vero il contrario; e cioè che sarebbe più rilevante che mai il ritorno a definizioni tribali riferite al paese di origine (Cultura d’Oriente, nella fattispecie)? In che misura l’arte realizzata da artisti nord-africani sarebbe in grado di definire una nuova identità? V’è il bisogno reale di una nuova identità all’interno della cultura israeliana? Oppure, discorrendo in maniera più generale, le arti visive sarebbero in grado di costruire una coscienza collettiva grazie a un impegno curatoriale?

Simili questioni sono affrontate all’interno di questa esposizione.

Sharon Toval, Tel Aviv, 2018.

Ph The Lab, Tel Aviv.

Questo progetto espositivo è sostenuto nello specifico da

MIGROS Percento culturale
Ambasciata d’Israele in Svizzera
Associazione Svizzera Israele / Ticino

Dove

MACT/CACT

Museo e Centro d’Arte Contemporanea Ticino

Via Tamaro 3, Bellinzona.

Orari

Venerdì, sabato, domenica

14:00 – 18:00

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